Monografie: Generale Ugo Sani



ugo_sani Ugo Sani è stato il militare ferrarese di carriera più alto in grado durante la Grande Guerra, e rappresenta in modo esemplare il ceto degli alti ufficiali di origine aristocratica che formavano i quadri superiori dell'Esercito e si sentivano legati in modo speciale alla monarchia e ai valori tradizionali della società.

Il Diario descrive le vicende belliche dell'autore, che fu all'inizio della carriera ufficiale di cavalleria.
Di questo periodo Sani descrive con amarezza il fatale temporeggiare imposto nel maggio 1915 dai comandi ai reggimenti a cavallo, che si videro così impedire l'inseguimento oltre il confine, in un momento in cui il nemico aveva ancora pochissime forze a disposizione. Visto lo scarso utilizzo dei reparti di cavalleria nella guerra di trincea, Sani chiede e ottiene un comando come ufficiale di fanteria, e viene assegnato come generale alla brigata Pinerolo, che è dislocata dapprima sul Carso Isontino e poi sul Carso di Comeno (oggi in territorio Sloveno). Il comando della Pinerolo è un'esperienza assai coinvolgente per Sani, che visita frequentemente le truppe e stringe con i soldati un solido rapporto umano, anche se non privo di sfumature paternalistiche. Dei suoi uomini il generale ammira lo spirito di sacrificio, il sincero spirito patriottico e mostra comprensione per le loro necessità, prima tra tutte quella di avere dei turni di riposo nelle retrovie.

A differenza di molti suoi colleghi che ostentavano insensibilità e freddezza nei rapporti con i subordinati, Sani nel Diario si fa vanto di essere schierato con i suoi soldati e cerca di prenderne le difese con i superiori: quando costoro si rifiutano di concedere il sospirato riposo nelle retrovie, il generale lo chiede e ottiene direttamente dal duca d'Aosta, comandante della III Armata. Forte dell'esperienza di prima linea, egli interpreta i regolamenti militari in modo abbastanza elastico e umano, adattandoli alla reale esperienza dei soldati nel conflitto.
Emblematico è il caso di un disertore, mosso nel suo gesto dalla stanchezza e dalla disperazione, che viene graziato da Sani in occasione del processo. Da generale della Pinerolo, Sani partecipa ad alcune azioni e rimane colpito dal pesante tributo di sangue che esse richiedono, come pure dalla scarsa efficacia della tattica italiana di fronte alle munitissime posizioni austro-ungariche. Questa parte del testo è piuttosto brillante e vivace, e l'autore non disdegna di narrare aneddoti apparentemente secondari, che vogliono avere carattere edificante per il lettore e che testimoniano del carattere personale e sentito del Diario.

Dopo essere divenuto per breve tempo generale di divisione, Sani trascorre l'ultimo anno di guerra come comandante del XIII Corpo d'Armata schierato prima sul Piave poi sull’Altipiano d’Asiago.
Nell'ottobre del 1917 era avvenuto il disastro di Caporetto e tutto il fronte era stato arretrato sul Piave per fronteggiare l'avanzata nemica. Fin dal novembre 1917 Sani nel suo nuovo incarico deve rintuzzare i tentativi nemici di passare il fiume, che vengono respinti, sia pure a fatica; ora l'esercito italiano, benché assai provato dalla recente sconfitta, si mostra in grado di evitare il crollo definitivo.
Da comandante di Corpo d'Armata Sani è più lontano dalle truppe combattenti, e forse anche per questo il Diario nella seconda parte appare meno fresco e spontaneo; predominanti, quasi martellanti, diventano i toni e gli accenti della retorica patriottica, che mettono in secondo piano le carenze di preparazione professionale dei comandi, causa non ultima del disastro di Caporetto. Questo pesante elemento retorico diventa in un certo senso il trait d'union tra la guerra e il dopoguerra; terminato il Diario con la vittoria del novembre 1918, la carriera militare di Sani prosegue, prima con il comando delle truppe di occupazione inviate a Innsbruck, poi con il comando del presidio di Bologna. Qui il generale affronta il fenomeno del nascente fascismo, cui guarda con sostanziale simpatia, nonostante ne deplori gli eccessi.

Non stupisce dunque che negli anni Trenta Sani sia diventato senatore, in quanto egli era certamente ben visto sia dal regime che dalla monarchia. Sani rappresenta dunque una figura importante nella storia ferrarese – e non solo – del primo Novecento.